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Nasce a Suzzara, in provincia e diocesi di Mantova, il 20 gennaio 1922.
Nel 1930 si trasferisce con la famiglia a Milano.
Formazione e ministero sacerdotale:
Nel 1934 entra nei seminari arcivescovili milanesi e completa gli studi presso la Facoltà teologica di Venegono Inferiore.
Durante questo periodo, conosce e diventa amico di don Luigi Giussani, futuro fondatore di Comunione e Liberazione.
Il 26 maggio 1945 è ordinato presbitero, nella cattedrale di Milano, dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster.
Dopo l'ordinazione è vicario parrocchiale a Monza, fino al 1950, e poi a Lambrate.
Nel 1951 si laurea in filosofia e lettere presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, dal 1950 al 1956 insegna filosofia nei collegi dell'arcidiocesi.
Nel 1956 diventa assistente diocesano degli uomini di Azione Cattolica; nel 1958 diventa delegato arcivescovile di tutta l'Azione Cattolica arcidiocesana.
Nel 1963 è nominato prevosto della basilica di San Vittore a Varese dal cardinale Giovanni Battista Montini, che, eletto papa con il nome di Paolo VI, lo sceglie come parroco uditore al Concilio Vaticano II.
Ministero episcopale:
Il 4 ottobre 1969 papa Paolo VI lo nomina vescovo di Piacenza; succede all'arcivescovo Umberto Malchiodi, dimessosi il giorno precedente per raggiunti limiti di età.
Il 4 novembre successivo riceve l'ordinazione episcopale, nel palazzetto dello sport di Varese, dal cardinale Giovanni Colombo, coconsacranti gli arcivescovi Umberto Malchiodi e Giuseppe Schiavini.
L'8 dicembre prende possesso della diocesi, nella cattedrale di Piacenza.
In segno di umiltà rifiuta di farsi confezionare uno stemma episcopale proprio.
Il 18 marzo 1983 papa Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo metropolita di Bologna.
Succede al cardinale Antonio Poma, dimessosi per motivi di salute.
Il 30 aprile prende possesso dell'arcidiocesi, mentre il 29 giugno riceve il pallio, nella basilica di San Pietro in Vaticano, dal papa.
Il 9 luglio è eletto presidente della conferenza episcopale dell'Emilia-Romagna.
È vescovo delegato per la famiglia, dal 1970 al 1977 e dal 1982 al 1983, e delegato per i problemi caritativi ed assistenziali, dal 1977 al 1982, presso la conferenza episcopale dell'Emilia-Romagna.
È inoltre segretario, dal 1973 al 1975, e poi presidente, dal 1982 al 1983, della commissione episcopale per la famiglia; dal 1975 al 1978 è presidente del comitato episcopale per l'Università Cattolica.
Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1983 muore improvvisamente a Bologna a causa di un attacco cardiaco, senza aver potuto ricevere la berretta cardinalizia che tradizionalmente si accompagna a quella carica arcivescovile.
È sepolto nella cripta della cattedrale di San Pietro.
Da: Il nuovo giornale:
“Cristo fonda, giustifica, dà contenuto e significato e forza al mio ministero; Cristo è il criterio della autenticità e la garanzia della validità del mio servizio”
Con queste parole, pronunciate il giorno del suo ingresso a Piacenza, l’8 dicembre 1969, il vescovo Enrico Manfredini si è presentato ai fedeli che gremivano la Cattedrale in una giornata già invernale.
Non poteva iniziare il suo ministero episcopale con parole diverse da queste.
C’è come un filo rosso che accompagna tutta la sua vita e che risale fino agli anni del seminario: la passione per Cristo.
Don Luigi Giussani, suo compagno di studi e amico fraterno, ricorda che in prima liceo il vivacissimo Manfredini aveva fondato un giornalino mensile intitolato “Studium Christi” nel quale invitava i compagni a mettere in comune la propria esperienza per mostrare il legame tra Cristo e tutti gli avvenimenti della vita.
Era un’intuizione profonda che gli faceva domandare ai seminaristi liceali di Venegono Inferiore: “Ma Cristo cosa c’entra con la matematica?”.
Quella domanda era la manifestazione di un amore a Cristo, un amore totalizzante che entra in tutte le realtà.
Da questa passione per Cristo è naturalmente fiorito quell’amore alla Chiesa che gli faceva sempre mettere in secondo piano le sue esigenze, anche quelle più legittime.
Sarebbe però sbagliato pensare a un Manfredini tetro o serioso.
La sua vivacità era manifesta.
Una volta addirittura segò le vecchie panche del seminario per andare a slittare sulla neve con i compagni.
Anche il padre fu mandato a chiamare dal Rettore perché calmasse l’esuberanza incontenibile del figlio.
Dentro un temperamento così straripante abitava un amore crescente verso la persona di Gesù Cristo.
Tutta la sua vita fu segnata da questo amore che lo porterà ad entrare con dinamismo e determinazione in tutti gli ambiti dell’agire umano.
Per fare un esempio basta uno stralcio della sua omelia al congresso provinciale delle ACLI il 22 aprile 1978
Il padre stanco di sentire lamentele decide di riportarlo a casa sollevando un coro di proteste. “E allora tenetevelo – risponde – cosa state sempre a lamentarvi!”.
E non volle più andare a parlare con i professori.
Per il giovane Enrico, un ruolo importante lo occupa la mamma Maria.
Nata in una frazione di Suzzara, ha assimilato quella civiltà contadina fatta di semplicità, di povertà e di tanta sapienza: è stata la donna “forte” descritta nel libro dei Proverbi.
Era pronta a servire, decisa nell’entrare nelle situazioni, rispettosa del ministero del figlio sacerdote, arguta nell’intuireil nocciolo delle questioni che descriveva coloritamente nel suo dialetto mantovano.
Non aveva titoli di studio, ma amava molto leggere, persino le pagine di giornale che avvolgevano i pacchi della spesa e non disdegnava nemmeno i grossi volumi che le capitavano tra le mani.
Nel modo di agire di Manfredini si potevano leggere i lineamenti del solido temperamento della mamma che non esitava a rimboccarsi le maniche, ormai già anziana, là dove i figli avevano bisogno di lei.
Don Enrico dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 26 maggio 1945 per l’imposizionedelle mani del beato card. Ildefonso Schuster, frequenta l’Università Cattolica del S. Cuore laureandosi in filosofia nel 1951.
Gli esordi del suo ministero pastorale lo vedono impegnato all’oratorio di Monza, poi in quello di Lambrate, nella periferia operaia di Milano.
Dall’oratorio passa all’insegnamento e per sei anni occupa la cattedra di filosofia nei collegi dell’arcidiocesi ambrosiana.
Diventa poi collaboratore prezioso e stimato del suo arcivescovo, il card. Montini, ricoprendo prima l’incarico di assistente diocesano dell’Unione Uomini di Azione Cattolica e poi di delegato arcivescovile per l’intera AC dal ‘58 al ‘63.
Nel 1963, prima di partire sia a Piacenza che a Bologna non volle scegliere stemmi araldici.
Si sentiva sempre il figlio di una famiglia operaia che si guadagnava il pane con il sudore della fronte senza ambire a titoli o posizioni di prestigio.
Il 18 marzo 1983 quando Giovanni Paolo II lo promuove all’arcidiocesi di Bologna.
Quando arrivò a Piacenza gli addetti alla Cancelleria della Curia gli domandarono che stemma avesse scelto, perché nei documenti ufficiali accanto alla firma sempre si doveva apporre il timbro con lo stemma episcopale.
Mons. Manfredini disse che non voleva uno stemma; si poteva usare quello della Curia dove vi erano rappresentati la Madonna Assunta e i santi protettori della diocesi Antonino e Giustina.
A volte, passando nei corridoi del primo piano del vescovado dove sono appesi i ritratti deiVescovi con i loro stemmi, commentava:
“Quando vedo i busti dei miei predecessori, provo una grande soggezione”.
Si sentiva figlio di una famiglia operaia che si guadagnava il pane con il sudore della fronte senza ambire a titoli o a posizioni di prestigio.
Per questo, e non per posa, ha sempre rifiutato atteggiamenti e stili di vita che potessero alluderead una aristocrazia o ad un successo carrieristico.
Neppure a Bologna scelse un simbolo araldico.
C’è però un episodio simpatico avvenuto il 2 dicembre 1983 quando mons. Manfredini partecipò con i salesiani alla presentazione di un libro che raccoglieva le lettere del card. Svampa al fratello.
In un corsivo, Svampa raccontava: “Giovedì scorso, mentre io ero alla chiesa degli agostiniani per la festa di Santa Rita, un grosso sciame d’api venne nel mio cortile.
Si affollò gran gente.
Parecchi volevano impossessarsene, ma Leonida (il cameriere) prevalse con un verde ramo verdeggiante, spalmato di miele.
Ora è nel giardino”.
Terminata la presentazione del libro, l’Arcivescovo aggiunse: “ora vi confesso che se un giorno i bolognesi volessero ricordarmi con un emblema araldico, mi piacerebbe avere il simbolo di questo ramo verdeggiante, spalmato di miele che attira e conquista lo sciame delle api”.
E sulla sua tomba nella chiesa metropolitana di S. Pietro è stata posta una scultura che rappresenta appunto il ramo verde ricco del biblico miele che attira le api.
L’episodio dice l’animo del Pastore: un fedele discepolo di Gesù Cristo che con una donazione senza limiti conduce una moltitudine, non a sé, ma alle sorgenti della Vita.
(Fonti ed immagini desunte da "Wikipedia" e da "www.ilnuovogiornale")
ABATE MONS. ADOLFO AGOSTONI
ABATE DON UGO TRERE'
ABATE DON ADOLFO LODI
ABATE MONS. ENRICO SAZZINI
ABATE CA. DON GIORGIO PAGANELLI
ABATE DON CARLO GALLERANI
ABATE DON GABRIELE STEFANI
ECON. PAST. DON PRIMO GIRONI
ECON. PAST. DON ENRICO PERI
AMM.PAST.DON ENRICO PETRUCCI
SAN LEONARDO
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