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STUDI LEONARDIANI

Parte 4°

(Centro Studi Leonardiani)

leonardo
La mattina a due ore di sole partimmo per Foligno e lungo la strada il catarro non cessò di tormentarlo.
Vi arrivammo sul mezzogiorno, e ci portammo in casa del padre Osservante e confessore del monastero di S.Lucia, monache del nostro ordine.
Vedendolo io così estenuato e mal ridotto, lo pregai grandemente affinchè quella mattina tralasciasse di celebrare la santa messa, ma egli non acconsentì e disse: "Vale più una messa che tutti i tesori del mondo".
Dopo molta fatica terminò di celebrare questa santa messa, che fù l'ultima della sua vita.

Ritornato alle stanze del padre confessore, lo pregai di prendere un pò di cibo.
Lo fece, ma con molta fatica, perchè lo stomaco gli si era molto indebolito per il gran catarro.
Dopo il mezzogiorno ci avviammo alla volta di Spoleto, e per la strada volle dire tutto l'ufficio
Si diede il caso (disponendo così Iddio) che il vetturino sbagliò strada, e ci trovammo in un punto ove non si poteva più andare avanti, perciò ci convenne scendere dal calesse ed andare a piedi lungo un fossato, per quasi un quarto di miglio.

Ognuno può immaginarsi quanto grande fosse il patimento del Padre Leonardo nell'andare a piedi per quel fosso pieno d'acqua e di fango, e quanta pazienza dovette esercitare.
Tuttavia Padre Leonardo appariva sereno e rassegnato alla volontà di Dio che non mancò di aiutarlo.
Infatti, un giovinetto che veniva dal convento di san Paolo de' Padri Osservanti, ci fece la carità di condurci sino al detto convento, ove arrivammo ad un'ora e mezza di notte infangati e doloranti.

Non mancarono, quei buoni religiosi di aiutarlo; lo condussero al fuoco, e poi lo portarono all'infermeria, ove l'infermiere procurò dargli alcuni opportuni rimedi.
Così il suo male restò coperto e non fu riconosciuto come mortale, ma solo considerato un brutto raffreddore.
Quella notte riposò poco, ne mai manifestò il dolore che sentiva.
La mattina di buon'ora mi sollecitò di andare a chiamare il vetturino per la grande premura che aveva di giungere a Roma.
Io printamente ubbidii e all'arrivo del vetturino fu preso dall'infermeria e posto in calesse.

Partimmo per Terni.

Quando si arrivò alla montagna di Somma, accortiisi l'oste e ua moglie che era il Padre Leonardo, vollero che assolutamente prendesse presso di loro un poco di riposo e di ristoro, perciò l'oste con altre persone lo levarono dal calesse, e lo portarono vicino al fuoco.
Dopo che si fu riscaldato e riposato egli diede la benedizione a tutta la casa.
Partimmo quindi per il convento delle Grazie dei padri Osservanti di Terni dove fu accolto con grande rispetto e riverenza.

Udendo essi che la mattina seguente voleva di buon'ora ripartire, si misero tutti a pregarlo e scongiurare che restasse e riposasse un pò tra loro ma egli rispondeva che non poteva accontentarli premendogli di arrivare presto a Roma, perchè Nostro Signore glielo aveva ingiunto.
Quella notte il gran catarro gl'impedì del tutto il riposo, ed io stetti sempre in piedi per assisterlo e lo stesso fece l'infermiere del convento.

La mattina verso le undici partimmo per Narni, ed io meditavo sulla sua costante sofferenza e rassegnazione.
Pativa molto, eppure mai lo sentii dire una parola di lamento; sempre volle dire l'ufficio divino e le altre sue orazioni e devozioni.
Io, sempre temendo che per il viaggio mi mancasse, mai gli levavo gli occhi da dosso e benchè fossi anch'io convalescente e debole mi sforzavo di aiutarlo e sostenerlo.
A Narni non volle fermarsi.

Continuammo il viaggio per Otricoli, e strada facendo andava discorrendo, come se non avesse male alcuno, però con voce assai languida.
Vi arrivammo sul mezzogiorno e ci fermammo alla Posta; procurai di dargli un poco di ristoro, ed egli ne prese una piccola porzione.
Quivi volle dire il divino ufficio, benchè avessi tentato di dissuaderlo avendo visto il gravissimo incomodo che gli recava.
Il medico del luogo al sentire dell'arrivo del padre Leonardo, si portò subito a visitarlo, ed io speravo che gli desse qualche rimedio, ma anch'egli (disponendo così Iddio), disse che non temessi perchè era un semplice raffreddore, mi diede alcuni rimedi da dargli per istrada.

Da qui partimmo per Civitacastellana, ove arrivammo a mezz'ora di notte, e ci recammo alla casa del signor Pio Ciotti nostro insigne benefattore, ma per quanto si bussasse, la serva non rispondeva.
Allora il vetturino, scese da cavallo, e si mise a cercare per la città il detto signor Pio, a lui ben noto, e incontrò suo fratello, il quale, inteso l'arrivo del padre Leonardo, si portò subito alla casa, così gli fu aperto e potemmo entrare.
E' facile immaginare quanto sia stata grande la sofferenza del padre Leonardo costretto a sostare così a lungo nel gelo della notte, ma non è facile per me descrivere la grande rassegnazione alla divina volontà, colla quale con animo imperturbabile e quieto sopportò anche questa difficoltà mandatagli dalla divina mano per prova della sua eroica pazienza ed aumento di particolare merito.

Preso dal calesse fu portato vicino al fuoco e lì volle dire il divino ufficio ma improvvisamente il camino prese al fuoco e l'incendio durò più di un'ora.
La mia pena era molto grande nel vedere che non gli poteva dare nessun aiuto, ma egli mi tranquillizzava dicendomi che il fuoco sarebbe presto stato domato.
Allora il signor Pio volle prendere con le proprie braccia il padre Leonardo, e porlo sul letto, poichè era del tutto senza forze.

Per tutta quella notte temetti che morisse, vedendo che il catarro lo tormentava sempre più, e gli cresceva l'affanno.
Egli invece si prendeva una gran pena per me che volli stare tutta la notte in piedi per assisterlo in ogni sua occorrenza.
Il signor Pio fece quantò potè per trattenerlo, ma egli sempre rispondeva che doveva giungere a Roma al più presto.





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