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SCHEDE CARDINALI NEL BOLOGNESE

GIACOMO DELLA CHIESA - Cardinale
poi Papa Benedetto XV (1908 - 1914)

vescovi e cardinali

Giacomo della Chiesa nacque a Genova in un palazzo di Salita Santa Caterina e fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora delle Vigne (anche se la delegazione genovese di Pegli, allora comune autonomo, ne rivendica i natali basandosi su una tradizione orale) da famiglia nobile ma non più particolarmente benestante, terzo di quattro figli di Giuseppe e di Giovanna dei marchesi Migliorati.

La famiglia della Chiesa, discendente da casati che avevano dato i natali a Berengario II d'Ivrea e a un altro pontefice, Callisto II, faceva parte del patriziato genovese, nel quale aveva raggiunto, nel XVI secolo, una posizione di particolare rilievo.
Anche la famiglia materna era aristocratica: i Migliorati di Napoli, che avevano già dato, pure loro, i natali a un precedente pontefice, Innocenzo VII.

A Genova ebbe modo di formarsi in un ambiente fecondo sia sul piano della fede sia su quello della cultura: in particolare, fondamentali furono la frequentazione del beato Tommaso Reggio, del futuro cardinale Gaetano Alimonda e del futuro primo vescovo di Chiavari Fortunato Vinelli.
Su pressione del padre, il quale si era opposto al desiderio di Giacomo di entrare quanto prima nel seminario diocesano, si iscrisse nel 1872 alla facoltà di giurisprudenza della Regia Università di Genova, dove si laureò dottore in legge nel 1875.
Solo allora il padre acconsentì a fargli intraprendere la carriera ecclesiastica; impose tuttavia al figlio di proseguire gli studi, iniziati presso il seminario di Genova, a Roma presso il Collegio Capranica e la Pontificia Università Gregoriana, dove Giacomo della Chiesa ottenne la laurea in teologia.

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Dopo essere stato ordinato presbitero il 21 dicembre 1878 dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta, entrò nell'Accademia dei nobili ecclesiastici per la preparazione alla carriera diplomatica, e successivamente nel servizio diplomatico della Santa Sede.
Nel 1883 partì per Madrid come segretario del nunzio apostolico Mariano Rampolla del Tindaro, che aveva conosciuto durante il periodo trascorso all'Accademia, e tornò a Roma nel 1887 quando questi fu nominato segretario di Stato e Cardinale da papa Leone XIII.
Della Chiesa divenne minutante pontificio (impiegato addetto alla stesura di minute) e sostituto della Segreteria di Stato, con Rampolla e poi con il cardinale Rafael Merry del Val. Aderì in questo periodo alla Gioventù Cattolica e al Circolo San Pietro.

Quando il cardinale Rampolla, dopo l'elezione di Pio X, fu sostituito dall'altrettanto valente Merry del Val, della Chiesa mantenne inizialmente il proprio posto, stimato dal nuovo Papa per le sue capacità.
Ciononostante, proprio a causa del suo stretto legame con il cardinale Rampolla – principale architetto della politica di apertura di Leone XIII, nonché rivale di Pio X nel conclave del 1903 – la carriera di della Chiesa in Vaticano si arrestò rapidamente, a causa della linea più conservatrice del nuovo papato.
Pio X decise infatti, pur stimandolo, di allontanarlo dalla Curia romana, e il 16 dicembre 1907 lo nominò arcivescovo di Bologna, secondo la nota massima latina "promoveatur ut amoveatur".

Giunse a sorpresa a Bologna la sera del 17 febbraio 1908.
Monsignor della Chiesa sosterrà l'intervento italiano in Libia, in conformità con la dottrina della guerra giusta.
vescovi e cardinali Nonostante la sede di Bologna fosse tradizionalmente titolata per una berretta cardinalizia, della Chiesa fu creato cardinale di Santa Romana Chiesa da Pio X solo sei anni dopo, il 25 maggio 1914.

Benché inizialmente vista come un passo indietro nella sua carriera ecclesiastica, fu proprio l'esperienza pastorale di Bologna che rese possibile la sua elezione al soglio pontificio, tant'è che solo dopo quattro mesi da quando era diventato cardinale, il 3 settembre 1914, fu inaspettatamente eletto Papa nonostante l'opposizione dei cardinali curiali e di quelli più intransigenti, tra cui De Lai e Merry Del Val.
Giacomo della Chiesa assunse il nome pontificale di Benedetto XV in onore del pontefice Benedetto XIV, che a sua volta era stato arcivescovo metropolita di Bologna prima di salire al soglio pontificio.

vescovi e cardinali Apparentemente dotato di ottima salute (si vantava di aver speso solo 2,5 lire in medicine in tutta la sua vita), morì a causa di una broncopolmonite il 22 gennaio 1922.
Il Pontefice si ammalò dopo che il suo autista arrivò in ritardo a prenderlo con l'automobile nei giardini vaticani, lasciandolo troppo a lungo sotto la pioggia gelida dei primi giorni di gennaio.
Il 6 febbraio dello stesso anno papa Pio XI ne divenne il successore.

Da Papa:

Benedetto XV fu eletto papa poche settimane dopo l'inizio della prima guerra mondiale.
L'elezione a papa di un cardinale nominato da soli tre mesi fu un evento eccezionale.
Probabilmente fu la situazione bellica a favorire la sua elezione, avendo egli lavorato nella diplomazia con valenti segretari di Stato, quali Rampolla e Merry del Val, ed essendo considerato più super partes rispetto ad altri papabili.
Consapevole della gravità del momento, decise che l'incoronazione si tenesse non nella Basilica di San Pietro ma, più modestamente, nella Cappella Sistina.

Durante la prima guerra mondiale elaborò diverse proposte di pace.

Nella sua prima enciclica, "Ad Beatissimi Apostolorum principis", pubblicata già il 1º novembre 1914, si appellò ai governanti delle nazioni per far tacere le armi e mettere fine allo spargimento di tanto sangue umano.
Con l'entrata in guerra anche del Regno d'Italia il 24 maggio 1915, la Santa Sede, chiusa e «prigioniera» in Vaticano, rimase ulteriormente isolata con la dipartita degli ambasciatori degli Stati esteri.
Benedetto XV soffrì molto negli anni a venire per questa reclusione, che visse come una sorta di penitenza per la pace.

Egli non poté far altro che constatare amaramente l'ulteriore allargamento del conflitto internazionale, la cui causa ultima era − a suo dire, e secondo un'interpretazione largamente diffusa all'interno della curia − la diffusione dell'individualismo liberale e quel processo di secolarizzazione che vedeva l'abbandono da parte delle società contemporanee delle linee guida della Chiesa cattolica.
La guerra mondiale rappresentava infatti, per Benedetto XV così come per i suoi predecessori, un vero e proprio castigo divino, tanto che lo paragonò al terremoto di Reggio Calabria e Messina.



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Durante tutto il conflitto non smise di inviare proclami per la pace e per una risoluzione diplomatica della guerra, oltre a fornire aiuti concreti alle popolazioni civili colpite, tra cui servizi di soccorso per i feriti, i rifugiati e gli orfani di guerra.
Tra tali aiuti – il cui costo portò il Vaticano sull'orlo della bancarotta – va ricordata anche l'apertura di un ufficio in Vaticano, l'Opera dei prigionieri, finalizzato alle comunicazioni e al ricongiungimento dei prigionieri di guerra con i loro familiari.

In campo diplomatico, «nell'aprile e nel maggio 1915, cercò di operare come intermediario tra l'Austria-Ungheria e l'Italia per evitare che la seconda dichiarasse guerra alla prima; tra fine 1916 e inizio 1917 si adoperò come tramite fra alcune potenze dell'Intesa e il nuovo imperatore, Carlo I d'Austria, e nella primavera del 1917 si appellò al presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nel tentativo di prevenire l'entrata in guerra dell'America».
Il suo tentativo più audace per fermare il conflitto e indurre i capi delle potenze belligeranti a riunirsi intorno a un tavolo di pace è tuttavia la Nota del 1º agosto 1917, una lettera comunemente ricordata per aver definito la guerra come «inutile strage».

Va a lui attribuita anche l'espressione, sempre al riguardo dello stesso argomento, della guerra come «suicidio dell'Europa civile».

Tuttavia, va detto, la risposta delle nazioni belligeranti fu negativa: specialmente Woodrow Wilson – i cui Quattordici punti, soli pochi mesi dopo, si avvicineranno molto al contenuto della Nota di pace del papa – «accolse il messaggio in modo critico e distaccato, e ciò si rivelò determinante nell'assicurare il fallimento delle proposte di pace di Benedetto XV, perché ormai gli Stati Uniti erano entrati in guerra e le altre potenze dell'Intesa dipendevano sempre più dal contributo statunitense allo sforzo bellico.

Il pontefice fu profondamente deluso dal fallimento della sua missiva di pace e dalle reazioni pubbliche che ottenne.
In aggiunta, la sua imparzialità venne interpretata dalle varie fazioni come sostegno verso la parte avversa, tanto che in Francia venne denunciato come "il papa crucco" (le pape boche), in Germania venne definito "il papa francese" (der französische Papst) e in Italia, addirittura, "Maledetto XV"».

Tra i diversi ostacoli, che spiegano l'insuccesso del ruolo pacificatore del papa e del suo segretario di stato Gasparri, vanno annoverati: la collocazione geografica del Vaticano all'interno dell'Italia (stato con il quale all'epoca non intratteneva relazioni diplomatiche ufficiali); l'isolamento diplomatico in cui Pio X e il suo segretario di stato Merry Del Val avevano lasciato la Santa Sede, dichiaratasi neutrale e imparziale nel conflitto; il fatto che questa "imparzialità" era solo "parziale", perché il Vaticano sperava da un lato «di beneficiare, grazie ad un qualunque trattato di pace susseguente, della incoronazionericonquista di almeno una parte della sovranità territoriale dei papi», persa con la Breccia di Porta Pia, e sperava dall'altro che fosse garantita «la sopravvivenza dell'Impero austroungarico, ultima grande potenza cattolica in Europa e baluardo contro la Russia ortodossa» (e, di lì a poco, comunista).

Quest'ultima considerazione fu uno dei motivi dell'opposizione da parte del Vaticano verso l'entrata in guerra dell'Italia contro gli Imperi centrali nel 1915.
Ciononostante, con l'aggravarsi del conflitto, è da registrare una considerevole simpatia del Vaticano nei confronti dell'Italia.

In ogni caso, l'ostacolo più grande per il pontefice era, a fronte della sua posizione di ferma condanna della guerra, l'adesione pressoché totale e incondizionata a essa da parte dei cattolici e del clero dei vari paesi belligeranti. In Francia si era realizzata un'union sacrée contro i tedeschi con la piena partecipazione dei cattolici e del clero allo sforzo bellico.

In Germania i cattolici si attendevano, dal loro consenso entusiastico alla guerra, la definitiva consacrazione del proprio ruolo nazionale.
Anche in Italia la grande maggioranza dei cattolici organizzati e la grande maggioranza dei vescovi, pur con diverse distinzioni e sfumature, aveva finito per aderire senza riserve alla guerra.
Tale adesione causò inevitabilmente una netta contrapposizione tra le varie chiese nazionali, che il papa ammise di non poter governare.

Nell'agosto del 1917, in seguito alla pubblicazione della celebre "Nota di pace" di Benedetto XV indirizzata alle cancellerie delle nazioni belligeranti, il padre domenicano Antonin-Dalmace Sertillanges, un predicatore della chiesa della Madeleine a Parigi, esclamò significativamente: «Santo Padre, noi non vogliamo la vostra pace».

Il dramma dei cristiani che muovono l'un contro l'altro, invocando lo stesso Dio, farà esclamare allo scrittore irlandese George Bernard Shaw che sarebbe meglio chiudere le chiese, piuttosto che in esse si preghi per l'annientamento del nemico.

vescovi e cardinali Volta al ristabilimento della concordia internazionale e all'«amore per il nemico» fu la promozione, da parte di Benedetto XV, del culto al Cuore di Gesù.
La preghiera al Sacro Cuore fu da lui personalmente composta nel 1915.
Così com'era da ricondurre a Dio l'origine del conflitto mondiale, anche la sua fine è riconosciuta da Benedetto XV come opera di Dio. Tesi che viene esplicitata nell'enciclica "Quod iam diu".

Al termine del conflitto il papa si adoperò per riorganizzare la Chiesa nel nuovo contesto mondiale.
Riallacciò le relazioni diplomatiche con la Francia – con cui i rapporti si erano drasticamente deteriorati a causa della Legge di separazione tra Stato e Chiesa (1905) –, anche grazie all'apprezzato gesto simbolico della canonizzazione di Giovanna d'Arco, e con altre nazioni.
Se all'inizio del papato Benedetto XV poteva contare su relazione diplomatiche con 17 stati, sette anni dopo questi erano saliti a 27.

Nel 1920 scrisse l'enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum.

Preoccupato che la pace di Parigi (1919) – tavolo da cui era stato escluso – potesse portare l'Europa a una nuova guerra, denuncia in tale enciclica la fragilità di una pace che non si fondi sulla riconciliazione:

«Se quasi dovunque la guerra in qualche modo ebbe fine, e furono firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antichi rancori»

Nessuna pace ha valore

«se insieme non si sopiscano gli odi e le inimicizie per mezzo di una riconciliazione basata sulla carità vicendevole»
Secondo il Papa, per realizzare la riconciliazione c'è bisogno della fede:
«A risanar le ferite del genere umano, è necessario che vi appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il samaritano era la figura e l'immagine»


Durante il suo pontificato, nell'Impero ottomano si verificarono tragici massacri di cittadini cristiani e Benedetto XV cercò di sostenere in tutti i modi questi perseguitati, con la parola, con l'azione caritatevole e con quella diplomatica. Cercò in particolare di evitare, soprattutto tramite il suo segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, il genocidio degli armeni in Anatolia nel 1915.
Questo non impedì che a Istanbul, nel 1919, fosse eretta una statua in suo onore di sette metri con la scritta:
«Al grande Pontefice della tragedia mondiale, Benedetto XV, benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o religione, in segno di riconoscenza, l'Oriente».

Ciò fu probabilmente dovuto all'attività di soccorso dei feriti e dei rifugiati durante la guerra, che valse al Vaticano il soprannome di "Seconda Croce Rossa".

Benedetto XV è all'origine della rifondazione dell'attività missionaria della Chiesa dell'inizio del novecento.
Nel 1915 istituì la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato.
La lettera apostolica Maximum illud del 1919 favorì un nuovo impulso alle missioni, con un preciso orientamento volto alla comunicazione del Vangelo e al distacco dagli interessi politici delle potenze.

Si ricollega a questa visione il tentativo di aprire una nunziatura a Pechino, a fronte della politica delle potenze europee in quell'area, che rappresentava un forte impedimento all'evangelizzazione.
Il Papa riuscì a stabilire una delegazione in Cina, la quale avviò il rinnovamento del cattolicesimo locale.
Sulla stessa linea s'impegnò per l'Oriente cattolico e fondò nel 1917 la Congregazione per le Chiese orientali, volta a difendere i diritti, finanche l'esistenza stessa, dei rami orientali della Chiesa cattolica.
Benedetto XV, in generale, si mosse con grande rispetto per i diversi popoli a cui la Chiesa si rivolgeva.
Per lui il missionario non era portatore di interessi di parte, ma del Vangelo:
«È necessario che chi predica il Vangelo sia uomo di Dio»

La Maximum illud si conclude con la prospettiva della rinascita di una stagione missionaria:
«È qui, sembrandoci che il divino Maestro esorti noi pure, come un dì Pietro, con quelle parole: "Prendi il largo", quanto ardore di paterna carità ci spinge a voler condurre tutta intera l'umanità all'abbraccio con Lui!»

(Dati ed immagini desunte da "Wikipedia")

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